giovedì 16 maggio 2013

IL MELODRAMMA DELL'OTTOCENTO

IL MELODRAMMA DELL'OTTOCENTO

Gli ingredienti per uno spettacolo di successo ci sono davvero tutti: all'epoca di GIOACCHINO ROSSINI, il melodramma è ancora il genere musicale prediletto in Italia e altrove.

DEFINIZIONE

Il Melodramma è uno spettacolo teatrale in cui gli attori cantano e narrano vicende attraverso la recitazione e il canto. Le sue origini risalgono agli ultimi anni del Cinquecento, quando un gruppo di studiosi fiorentini denominati “LA CAMERATA DEI BARDI“  cercò di far rivivere le antiche tragedie greche, creando spettacoli teatrali che fossero anche cantati. Nacque così un nuovo genere compositivo, il Melodramma, dove musica, poesia, costumi e scenografie si fondevano in un unico avvenimento; questo nuovo genere si affermò nelle corti, nelle feste, nelle ricorrenze, negli  appuntamenti mondani; erano occasioni per allestire spettacoli sempre più ricchi e fastosi. Il primo melodramma fu la "Dafne" del Rinuccini musicata dal Peri nel 1594 al quale seguirono l'Arianna di Monteverdi sempre su testo del Rinuccini. Claudio Monteverdi fu il primo e indiscusso maestro del melodramma che con "L'Incoronazione di Poppea" raggiunse un'intensità tale da distaccarsi completamente dai primi tentativi di fusione fra la parola e la  musica. Tanto grande fu il successo che nel 1637, a Venezia, venne inaugurato il primo teatro pubblico, dove lo spettatore, anche se non invitato, poteva assistere allo spettacolo acquistando il biglietto. Il melodramma continuò ad essere il più importante e diffuso spettacolo pur tutto il Seicento, il Settecento  e buona parte dell’Ottocento.
Il melodramma dell’epoca barocca, spesso iniziava con un brano solo suonato dall’orchestra che prendeva il nome di OUVERTURE, che significa “brano di apertura”; la vicenda era divisa in più momenti che prendevano il nome di ATTI, ogni atto presentava più scene con i personaggi che cantavano melodie denominate ARIE, accompagnate dall’orchestra; le arie erano introdotte, collegate e commentate dai RECITATIVI, parti declamate accompagnate dal solo clavicembalo; il testo (scritto su un quaderno che prendeva il nome di LIBRETTO), quasi sempre in versi, narrava vicende drammatiche ispirate alla storia antica e alla mitologia. Questi spettacoli erano ricchi di scenografie, effetti spettacolari, costumi sfarzosi, e riproducevano situazioni e atmosfere drammatiche.   Spesso le rappresentazioni duravano molte ore.
Verso la fine del Seicento gli autori, per intrattenere e divertire il pubblico, cominciarono ad inserire tra un atto e l’altro gli intermezzi musicali, brevi scenette che narravano in modo comico episodi tratti dalla vita quotidiana.  Questo tipo di intrattenimento era molto gradito al pubblico e, nell’arco di poco tempo, diventò un nuovo genere teatrale: l’OPERA BUFFA.    Rispetto all’opera seria, l’opera buffa era molto più libera da schemi precostituiti: i compositori si ispiravano a vicende legate alla vita di tutti i giorni che il pubblico capiva con maggior facilità, riuscendo ad identificarsi nei personaggi.
Grazie alla diffusione del melodramma, i cantanti erano diventati una categoria di persone ricche e famose; spesso la loro notorietà bastava a fare riempire un teatro e trasformare la prima di un nuovo spettacolo in un sicuro successo. Anche i compositori, del resto, eccedevano spesso nell'uso di abbellimenti e di effetti musicali atti a stupire e meravigliare il pubblico. Tutto questo andava a discapito della stessa comprensione dell'opera: spesso, infatti, il pubblico, distratto dal prolungarsi di un'aria o di un duetto, che facevano risaltare la bravura di un cantante, "perdeva il filo" della vicenda. Nel Settecento, anche fra i compositori di melodrammi si cominciò a sentire il bisogno di maggior semplicità, realismo, equilibrio fra il testo e la musica. Il rinnovamento del melodramma nella seconda metà del secolo fu opera in particolare del tedesco Christoph Willibaid Gluck (1714-1787).
In seguito il melodramma, che aveva preso il nome di opera, acquistò molta popolarità.
 Il periodo più fulgido del melodramma è l'Ottocento che risplende dei nomi di Bellini, Rossini, Donizetti, Verdi.
 Sul finire dell'Ottocento sorse la Scuola verista, un movimento che, pur non rinunciando alla concezione tradizionale del melodramma, lo rese più vero ed aderente alla vita quotidiana.
 Tra i musicisti ricordiamo Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo, Francesco Cilea, Umberto Giordano.




IL BARBIERE DI SIVIGLIA: la trama



Scena prima. Davanti alla casa del dottor Bartolo il conte d'Almaviva canta una serenata a Rosina ("Ecco, ridente in cielo"); ma poiché alla finestra nessuno si fa vivo, licenzia la compagnia che ha assoldato e si nasconde sotto un portico ad aspettare un'occasione più propizia. Sopraggiunge Figaro, barbiere, faccendiere, sensale d'ogni negozio, factotum della città ("largo al factotum") e vecchia conoscenza del conte, del quale si dichiara subito a disposizione cominciando con l'informarlo che Rosina, la bella da lui occhieggiata a Madrid nelle sale del Prado, non è la figlia ma soltanto la pupilla del dottor Bartolo. Ora con costui, che da poco si è stabilito a Siviglia, Figaro è di casa; potrà dunque aiutare il conte ad avvicinare la ragazza. Questa intanto, uscito il tutore si è messa dietro la gelosia ad ascoltare la dichiarazione d'amore che, in forma di una serenata ("Se il mio nome saper voi bramate") il conte le rivolge, fingendo di essere uno studente di nome Lindoro, perché egli non vuole conquistarla in virtù delle sue ricchezze né del blasone. Figaro dà i suoi consigli ("all'idea di quel metallo"): Almaviva si travestirà da soldato, e poiché in quel giorno a Siviglia arriva un reggimento, con un falso biglietto d'alloggio potrà essere ospitato in casa del dottore. Anzi il conte si fingerà ubriaco, perché d'uso che già casca dal vino il dottore si fiderà più facilmente. Dopo aver dal conte il suo indirizzo, Figaro entra nella casa del dottore.
Scena seconda. Rosina freme dal desiderio di far recapitare un biglietto a Lindoro ("Una voce poco fa"): e Figaro, che appunto è venuto a tentare i primi approcci, gli sembra subito l'uomo adatto. Ma il loro dialogo è interrotto dall'arrivo di don Bartolo, che induce l'uno a nascondersi, e poi l'altra a ritirarsi. Bartolo è accompagnato dal maestro di musica della ragazza, don Basilio, il quale informa l'amico che il conte Almaviva, l'incognito amante di Rosina, è in Siviglia. Bartolo, che vorrebbe sposare la pupilla, ne è preoccupato, ma Basilio lo rassicura: si potranno spargere sul contro del rivale tali calunnie da farlo in breve cacciare dalla città ("La calunnia è un venticello"). I due vanno a preparare il contratto interrotto. Figaro fa la sua ambasciata e chiede alla ragazza di rispondere con un biglietto. Rosina esita, ma poi lo consegna: l'aveva già scritto ( "Dunque io son"). Torna allora don Basilio e s'avvede che dallo scrittorio manca un foglio e che un dito della pupilla è sporco d'inchiostro; ma la ragazza si difende bravamente nonostante il tempestare del dottore ("A un dottor della mia sorte"). In quella, arriva il conte travestito da soldato di cavalleria, e in atteggiamento di ubriaco ( "Ehi di casa!"). Al suo biglietto d'alloggio Bartolo oppone un biglietto d'esenzione, ma senza effetto: il finto soldato è deciso a restare e a un certo punto passa avventurosamente un suo biglietto a Rosina. A lungo Bartolo s'affanna per mettervi le mani sopra: quando riesce è per cogliere invece la lista del bucato con cui la ragazza l'ha abilmente sostituito. Il soldato alza la voce, sguaina la spada. Ne nasce un pandemonio; e Figaro raccomanda la calma, annunciando che il baccano ha fatto radunare mezza città sulla piazza: infatti irrompono nella casa i gendarmi, ad arrestare il disturbatore. Ma basta che il finto soldato esibisca al loro ufficiale un certo foglio, perché si irrigidisca e lo lasci libero. Impietrito dallo stupore, Bartolo diviene l'oggetto dell'ilarità generale.
 
Atto secondo
Scena prima. Bartolo ripensa all'accaduto: nella faccenda del soldato non vede affatto chiaro, immagina che si tratti di qualche inviato del conte. Picchiano alla porta: entra un giovane che si dice di chiamarsi don Alonso e di essere allievo di don Basilio il quale, ammalato, lo ha mandato a dar lezione a Rosina ("pace e gioia sia con voi"). E' ancora il conte travestito e per vincere i sospetti del dottore gli consegna il biglietto di Rosina; potrà servire, gli spiega, a deludere la ragazza dichiarandole che il conte lo dette, per farsi gioco di lei, a qualche altra sua amante. Convinto, Bartolo chiama Rosina; dunque può prendere la sua lezione di canto mentre Figaro, sopraggiunto al momento giusto, persuade Bartolo a farsi fare la barba: e così, con la scusa di andare a prendere la biancheria, si fa consegnare il mazzo di chiavi da cui toglierà quella della gelosia che dà sulla piazza. Tutto sembra andare per il meglio quando arriva, ignaro di tutto, don Basilio ("Don Basilio!"); don Bartolo è sul punto di scoprire la verità ma una borsa del conte, unita alle astuzie di Figaro, persuade don Basilio a battersela, per curare una pretesa febbre scarlattina. Finalmente Figaro può fare la barba a Bartolo, coprendo per quanto può il colloquio dei due amanti; ma Bartolo coglie al volo una frase del falso maestro di musica, monta su tutte le furie e lo scaccia. Usciti tutti, Berta, la vecchia serva, monologa malinconicamente sull'amore ( "Il vecchiotto cerca moglie").
Scena seconda. Don Basilio spiega a don Bartolo di non avere mai conosciuto quel tale don Alonso: non sarà stato il conte in persona? Bartolo è ormai deciso a bruciare le tappe; manda don Basilio a chiamare il notaio per le nozze, ed esibisce a Rosina il biglietto datole dal preteso don Alonso, facendole credere che Figaro e don Alonso siano semplici mezzani per piegarla alle voglie del conte d'Almaviva. La ragazza cade nel tranello: profondamente delusa, accetta di sposare il tutore e gli rivela il piano che aveva concordato con Figaro per la sua fuga. Ma Bartolo è appena uscito a chiamare i gendarmi incaricati di arrestare Figaro e l'amante della ragazza, che questi due entrano dalla finestra, raggiunta con una scala appoggiata dalla strada, mentre un temporale infuria. Rosina respinge risolutamente l'abbraccio di Lindoro: ma questi lascia cadere il mantello: è lui, il conte d'Almaviva ("Ah, qual colpo inaspettato"). Felici i due innamorati stanno per uscire, con Figaro, attraverso la finestra, ma constatano che il dottore ha preso la precauzione di togliere la scala. Figaro non si perde d'animo; poiché nel frattempo è arrivato don Basilio con il notaio, si faranno le nozze, subito, anche se ben diverse da quelle per le quali il notaio era stato chiamato. Quando Bartolo è di ritorno, il colpo è cosa fatta: la precauzione di togliere la scala ha agito al contrario delle sue intenzioni. D'altronde il furore del beffato ha presto motivo di placarsi perché il conte d'Almaviva rinuncia alla dote di Rosina. Figaro spegne la lanterna, l'ombra protegge gli sposi.


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